DIFENDIAMO I LUOGHI DELL’ANIMA O LE CITTÀ NON FUNZIONERANNO PIÙ L’EX MACELLO? UN GRANDE FURTO

Articolo tratto da “Il Mattino” di Padova – 21.01.2024

di Cristiano Cadoni

Esperti, docenti e amministratori a confronto sul riconoscimento degli spazi collettivi L’esempio di Terranostra a Casoria. Il filosofo Capone: «A Padova possibile il ricorso al Tar»

LE BUONE PRATICHE

Prima ancora che una delibera comunale o una legge li classifichi e li sottoponga a forme di regolamentazione, ci sono spazi o edifici pubbliche che hanno dentro una storia, un vissuto. «Luoghi dell’anima», li definisce Maria Tommasina D’Onofrio, assessora all’Urbanistica di Casoria, comune di 78 mila abitanti nell’area metropolitana di Napoli dove con una scelta tanto impopolare quanto coraggiosa l’amministrazione – dopo aver approvato a fine 2023 un regolamento dei Beni comuni – si appresta a concedere l’uso civico per Terranostra, un parco che è stato a lungo occupato e che i cittadini hanno sempre vissuto come luogo di incontro. 

Una storia simile a quella dell’ex macello di Padova e che proprio per questo è stato portato a modello ieri in occasione di un incontro su Beni comuni e usi civici, promosso dal dipartimento Icea dell’Università di Padova insieme alla Rete Beni comuni.

Il coinvolgimento dell’Università non è casuale. A Napoli la Federico II, presente ieri in collegamento video con Enrico Formato, docente di Urbanistica, è stato fondamentale nel processo di mediazione fra il Comune e la comunità di riferimento dell’area verde, che è stata sottratta prima all’abbandono e poi a possibili speculazioni con quella che lo stesso Formato ha definito «urbanistica costituzionale», un processo che parte dal riconoscimento di aree che hanno una valenza sociale ed ecologica e che fornisce ai Comuni gli strumenti per restituire alla collettività spazi da vivere in virtù di un interesse pubblico prevalente. «L’ideale», ha detto il docente, «sarebbe riuscire ad applicare lo stesso processo su tutte le aree fra città e campagna, considerate ingiustamente una riserva per l’edificazione e invece fondamentali per l’inversione dei processi di consumo di suolo».

È una bella storia di resistenza quella di Terranostra: sette anni di occupazione, una comunità che si organizza, petizioni, assemblee (più di 400) e la vittoria finale, ormai vicina. «Il termine Bene comune è abusato», ha ammesso Angelo Vozzella, uno dei portavoce della comunità di riferimento. «Ma ha senso quando sblocca energie, quando le persone se ne appropriano e in quel luogo si esprimono. Non si tratta solo di portarci il cane ma di portarci idee. Perché siano riconosciute, però, c’è bisogno di un apprendimento istituzionale, cioè che i Comuni imparino a riconoscere quello che succede in questi luoghi, i bisogni che vengono soddisfatti, nel nostro caso era lo stare insieme, potendo avere tempo libero di qualità, senza per forza spendere soldi».

Le similitudini con la storia dell’ex macello di via Cornaro sono tante, a cominciare dal fatto che «in virtù dei saperi che si accumulano lì dentro, questi diventano luoghi di produzione di politiche pubbliche», ha detto Maria Francesca De Tullio, attivista ed esperta di Beni comuni. «Siamo davanti a un nuovo assalto alla ricchezza pubblica», ha aggiunto Nicola Capone, filosofo, ricercatore ed esperto di Beni comuni, riferendosi ai tanti «spazi sottratti alle comunità e che sono una rapina, non tanto per lo spazio in sé ma perché sottraggono alle persone la possibilità di avere un luogo di espressione, che è sancito dalla Costituzione. Gli spazi pubblici non possono ridursi ai tavolini dei bar, luoghi di consumo, o alle aree carrabili. Oggi mancano spazi di incontro, di appartenenza, di democrazia e le città non respirano, non funzionano. Mancano proprio i luoghi dell’anima e dell’intimità, spazi da usare più che da possedere, proprio com’era l’ex macello di Padova. Che è stato sottratto alla collettività, sdemanializzato ed è diventato un patrimonio nella disponibilità del Comune». Che vuole recuperarlo, ma per cominciare – guarda caso – ci fa aprire un bar. «In mancanza di un atto che sancisca questo passaggio», ha sottolineato Capone, «è possibile opporsi, con un ricorso al Tar, anche perché c’è una sentenza della Cassazione che parla chiaro. E resistere facendo capire alla cittadinanza la portata del furto che c’è stato». Perché «l’uso dell’ex macello è sedimentato da quarant’anni e la pratica del suo uso doveva – produrre una regolamentazione pubblica che andasse nella direzione dell’uso civico». 

Invece non c’è stata. Anzi, il Comune, nonostante il regolamento sui Beni comuni, finora ha opposto il silenzio alla richiesta di uso civico fatta dalla comunità di riferimento.

Gli usi civici e i beni comuni: l’esperienza campana a Padova il 20 gennaio

scugnizzo liberato commons napoli

EVENTO FB: https://www.facebook.com/events/876188140955784/

La Rete Beni Comuni di Padova organizza sabato 20 gennaio 2024 (10.30-12.30) un incontro pubblico ospitato nell’Aula Solesin dell’Università di Padova, in via Cesarotti 12, che vede al centro gli usi civici e collettivi a due anni dal seminario internazionale centrato sulle pratiche nei Paesi mediterranei (qui il report e l’audio registrazione).

A due anni di distanza, purtroppo, a Padova il regolamento comunale registra appena cinque “patti di collaborazione”, uno maldestramente presentato come “uso civico”. Nel frattempo, non è mai stata portata in giunta (come vorrebbe il regolamento) la richiesta della comunità di riferimento dell’ex macello di via Cornaro, né dal Comune sono giunte risposte ai solleciti anche formali inviati dalla comunità che ha provato a continuare a prendersi cura dell’area organizzando visite a carattere culturale e la cura dell’orto esterno demaniale.

Sono almeno tre le novità al centro dell’incontro che vede protagonisti Nicola Capone e Maria Francesca De Tullio, attivi a Napoli e dintorni sia nella comunità dell’Asilo, sia in percorsi di ricerca, in particolare con l’Università degli studi di Napoli “Federico II”.

Napoli e i cantieri di coprogettazione

A Padova avranno modo di presentare gli esiti di una corposa ricerca, appena pubblicata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, su “Spazi di comunità”, documentazione e analisi delle pratiche di riuso di spazi dismessi a fini collettivi, che presta particolare attenzione alle esperienze pugliesi e campane.

In questo contesto si sta rivelando prezioso il lavoro di coprogettazione sulla rigenerazione dei beni comuni Scugnizzo liberato e Ex OPG – Je so’ pazzo per il diritto d’uso civico e collettivo, con il coinvolgimento di Invitalia e dell’Agenzia del Demanio.

Nel nuovo numero di “Quaderni della decrescita” il testo “Faust fermato a Napoli” di Gaetano Quattromani documenta questi percorsi di coprogettazione – ispirati dall’uso civico e collettivo in funzione di politiche pubbliche – per i prossimi interventi di ristrutturazione di Scugnizzo Liberato ed Ex OPG – Je so’ pazzo: “Accanto alla pratica del quotidiano e alla proposta giuridica, entrambe proprie del mondo dei beni comuni di Napoli, un po’ sottotraccia ci può essere una ricaduta in termini di proposte di rinnovamento democratico in senso radicale, non soltanto in merito alla vita istituzionale delle nostre città, ma in relazione al portato dell’esistenza collettiva dei territori, dell’autorganizzazione dei gruppi sociali e dell’autogoverno delle comunità”.

Il cantiere dell’Ex OPG – Je so’ pazzo, frutto di questo percorso di co-progettazione, aprirà a breve ed i lavori sono previsti fino al 2026 con un investimento di 44 milioni di euro per intervenire sui 16.000 metri quadri del complesso degli edifici (nato come S. Eframo Nuovo nel 1572) e i 4.600 metri quadri all’aperto.

Il regolamento dei beni comuni di Casoria

Una terza novità è l’approvazione (il 27 dicembre 2023) del regolamento dei beni comuni del Comune di Casoria che riconosce il diritto d’uso civico e su cui è attesa la delibera di giunta in merito al riconoscimento come bene comune ad uso civico una parte del parco pubblico della città occupato da sette anni dagli attivisti di Terra Nostra. Un riconoscimento importante per il lavoro di questa comunità e della collaborazione fra Comune, Università degli studi di Napoli “Federico II” e Terra Nostra.

A questo proposito, interverranno da remoto all’incontro di Padova Maria Tommasina D’Onofrio, Assessora alla Pianificazione ed Assetto del Territorio del Comune di Casoria (Napoli), l’urbanista Enrico Formato (DiArch, Università degli studi di Napoli “Federico II”) ed esponenti della comunità di riferimento di “Terra nostra”. Questo è il loro recente comunicato dopo l’approvazione del regolamento comunale e l’intenzione espressa dalla giunta di riconoscerne il diritto d’uso civico e collettivo di parte del parco comunale:

“Non abbiamo mai lottato per un’assegnazione diretta di Terranostra.

Volevamo riconosciuto un diritto, per tutti e tutte, non solo per noi: il diritto di uso civico e collettivo, ossia la possibilità per gli abitanti e le abitanti di autorganizzarsi, per curare e gestire dal basso, insieme, in maniera trasparente e democratica, pezzi di città.

Volevamo che il patrimonio pubblico fosse difeso dalle speculazioni dei privati e sottratto a quella che troppo spesso è la cattiva gestione delle amministrazioni locali. Garantire, insomma, che gli spazi e i servizi della città fossero beni comuni veri, a disposizione di tutte le persone per emanciparsi, per vivere una vita dignitosa e libera, in una logica di interdipendenza e solidarietà.

Volevamo aprire uno squarcio nel velo della politica autoreferenziale, creare un precedente per spostare l’asse del potere dall’alto verso il basso.

Sono serviti sette anni di occupazione, tante lotte, una petizione, un’opera instancabile di ‘apprendimento istituzionale’, ma alla fine abbiamo conquistato questo diritto, che adesso è riconosciuto nel regolamento comunale per la gestione condivisa dei beni comuni.

Abbiamo raggiunto uno storico obiettivo, dando a Casoria uno strumento innovativo e all’avanguardia. Grazie alla collaborazione tecnica con l’amministrazione comunale, il DiArc della Federico II, l’osservatorio sui beni comuni napoletano, adesso l’uso collettivo è su carta, nero su bianco, ma tocca a tuttə noi, rendere questo diritto effettivo, farlo vivere nelle pratiche, nella partecipazione, per tornare a condividere insieme il sogno di Terranostra e per autogovernare le nostre vite, come prima, meglio di prima.

Grazie a chi ci ha creduto. A chi non ci credeva, ma si ricrederà d’ora in poi. A chi non ha mai mollato la presa. A chi ha pianto e ha saputo lottare e realizzare ciò che per chiunque era impossibile, ma ora è realtà.

È solo l’inizio. Non ci fermiamo. Andiamo avanti. Fino alla vittoria.

Lotta. Vivi. Ama”.

Un commento di Nicola Capone

I beni comuni intensificano la relazione tra il mondo dei beni e quello delle persone, attraverso l’esercizio dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Quasi sempre essi riguardano beni pubblici demaniali lasciati al degrado o oggetto di mercificazione, che comunità di abitanti hanno riabilitato alla loro intrinseca funzione sociale, garantendone l’inalienabilità, l’accessibilità, la fruibilità e il loro uso pubblico.

Riconoscerli come beni comuni significa funzionalizzarli all’esercizio dei diritti fondamentali. Favorirne, invece, il loro uso civico e collettivo significa non solo rendere effettivo il loro contenuto giuridico e politico (inalienabilità, accessibilità, fruibilità, uso pubblico), in quanto beni demaniali, ma rendere concreta la possibilità di esercizio dei diritti fondamentali.

Questo esercizio di diritti si sostanzia innanzitutto nel diritto alla partecipazione diretta delle comunità di abitanti alla loro cura e al loro governo. Ma quello che ha dimostrato finora l’esperienza è che da questa pratica di cura e di governo emerge una nuova forma di regolamentazione pubblica del bene che, in prima istanza, si manifesta nella forma di Dichiarazioni d’uso civico e collettivo.

Queste “Dichiarazioni” hanno di per sé un valore giuridico perché sono maturate negli “usi”, che è bene ribadirlo sono tra le fonti del diritto. Pertanto una volta riconosciute dall’amministrazione pubblica – dentro i propri Regolamenti d’uso del patrimonio o dei beni comuni – diventano a tutti gli effetti forme di regolazione pubblica, informate ai diritti fondamentali.

Questa è una loro specificità, che li distingue, ad esempio, dai patti di collaborazione che sono un’ottima forma di amministrazione/gestione condivisa del patrimonio pubblico, concordata tra Pubblica amministrazione e taluni soggetti collettivi – in base al principio di sussidiarietà – e che ha innovato il modo di progettare delle stesse istituzioni attraverso diverse e innovative forme di co-progettazione.

Con il diritto d’uso civico e collettivo quello che è primariamente in questione è innanzitutto l’appartenenza collettiva dei beni demaniali e l’intrinseca giuridicità – in quanto fonti del diritto – di quelle forme d’uso collettive, immediatamente riconducibili all’esercizio dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.

Per dirla schematicamente: a nuove forme di organizzazione e di uso devono corrispondere nuovi rapporti di proprietà. In caso contrario, senza riconoscere anche queste forme di vita sociale e pretendere di assimilarle a forme amministrative già esistenti, tutto si ridurrebbe a mera amministrazione dell’esistente, così com’è.

Ci vediamo sabato prossimo!

Foto: Scugnizzo liberato, Napoli. Da commonsnapoli.org

L’Ex Macello: un monumento identitario dei padovani?

L’Ex Macello: un monumento identitario dei padovani?

Una passeggiata alla scoperta dell’area di via Cornaro 1 a Padova, simbolo di innovazione e cultura, salute pubblica e progresso civile.

23 giugno 2023, h. 18.00

Adriano Menin
speleologo (Associazione E.S.C.A. Esplorazioni Speleologiche Cavità Artificiali – PdSotterranea) e promotore del progetto Padova Sotterranea con il Comitato Mura Padova, ci guiderà alla scoperta dell’area dell’Ex Macello, ripercorrendone la storia.

L’Ex Macello di via Cornaro 1 a Padova, riconosciuto come Bene di interesse Culturale nel 2010, è uno dei siti memoriali più importanti di Padova e della sua storia.

L’epoca che vide nascere il Nuovo Macello Pubblico, all’inizio del XX secolo – unitamente a  molte altre strutture sociali d’avanguardia che innalzarono la qualità della vita nella nostra città e della sua popolazione, non fu una fase storica isolata, ma un modello «ideale» di cultura e gestione del bene pubblico, che si distingueva per innovatività e capacità di «servizio» utile a tutt3.

La «vocazione» dell’area, al servizio delle persone, pur in forme del tutto diverse da quelle originarie, si è riproposta sessant’anni più tardi attraverso l’importante opera della CLAC 

(Comunità per le Libere Attività Culturali) e del suo fondatore (Prof. Piva).

Iniziativa Ex Macello

Ex Macello di via Cornaro: i contatori che aprono la pagina web della Rete Beni Comuni segnalano ormai 500 giorni da quando è stata presentata la Dichiarazione d’uso civico e collettivo dell’area come bene comune e oltre 300 giorni di silenzio del Comune in merito alla (ripetuta) richiesta formale di coinvolgere una parte terza, di fronte al tergiversare dell’Amministrazione.
Questa “distrazione” riguarda purtroppo anche l’area interna ed esterna. E così, sabato 29 aprile pomeriggio, decine di cittadinɜ hanno condiviso zappe e zappette e si sono ritrovatɜ per sistemare almeno lo spazio verde sulla destra dell’entrata, che risulta in stato di abbandono ed invaso da rifiuti. Questi, in grande quantità, sono stati raccolti e smaltiti. Si è proceduto, quindi, a sistemare l’area sostituendo ai rifiuti piante aromatiche, senza esigenze di irrigazione troppo frequente: ne sono state messe a terra alcune decine, insieme a patate, al centro dell’orto, gentilmente offerte da El Tamiso.
È stato così creato un percorso calpestabile che delimita alcune aree tematiche di prendersi cura. La partecipazione di Cucina Brigante ha trasformato l’incontro in una piccola festa con merenda e cena condivisa. Un ottimo inizio per il quarto anno di iniziative dopo lo sgombero subito dalle associazioni a gennaio 2020. Seguiranno nuovi appuntamenti.

Seconda assemblea Prandina Bene Comune

Decine di persone si sono ritrovate sabato 29 aprile mattina per la Seconda Assemblea “Prandina Bene Comune”. Hanno dato vita a tre gruppi di lavoro per “Prandina Parco della Città” in modo da restituire il verde all’area dell’ex caserma, programmando fin d’ora il successivo 3° incontro il 18 maggio.
Di fronte alle transenne che crescono, agli annunci di demolizioni, alla minaccia di rendervi permanente il parcheggio, un primo asse propositivo dell’assemblea intende ricordare alla città la mancata attuazione della delibera del 23 luglio 2019 che impegna l’Amministrazione Comunale ad indire un concorso di progettazione.
Un secondo gruppo di lavoro ha condiviso e cominciato a programmare le numerose iniziative che i cittadini e le venti associazioni che partecipano all’assemblea intendono attuare per sollecitare l’Amministrazione e per rendere evidente quanto l’area sia luogo nevralgico per l’ecologia ambientale e sociale della città. Agli artisti viene rivolto questo appello:
“Chiamata ai colori: Il parco e il bosco dell’area Ex Caserma Prandina rischia il grigio cemento. Come svegliare la città? Questo invito è rivolto a artisti disponibili a esporre (anche alle intemperie) loro opere negli spazi all’aperto dell’area per lanciare un messaggio di cura e creatività nei confronti di un luogo vitale per tutta la collettività. Verso Prandina Parco della Città”.
Il terzo gruppo di lavoro sta facilitando la redazione collettiva della Dichiarazione d’uso civico e collettivo dell’Area Ex Caserma Prandina quale bene comune, secondo il regolamento approvato ad ottobre 2021. La bozza della Dichiarazione è disponibile a chiunque voglia contribuire nello spazio online della Rete Beni Comuni all’indirizzo:
https://drive.google.com/drive/u/0/folders/1WdcOyqT9C0tiGI8BMId1bQpzYIFIRHTJ
A breve, maggiori informazioni sul ciclo di iniziative per farne un luogo vivo della città.

È PRIMAVERA anche per l’EX MACELLO

SABATO 29 APRILE, dalle 15.30, invitiamo tutte le persone interessate a incontrarci nell’“orto” dell’Ex Macello di via Cornaro, sulla destra dell’entrata (prima del ponte) per sistemare insieme l’area che ora risulta in stato di abbandono. 

È utile portare guanti, zappe/zappette, forbici e falcetti, un paio di sacchetti per la raccolta del verde e dei rifiuti, e piante aromatiche (oppure piante che non richiedano una irrigazione troppo frequente) da mettere in terra.

L’idea è quella di definire e realizzare insieme uno o più percorsi calpestabili che delimitino, tenendo conto della situazione esistente, delle aree tematiche e di verificare insieme come prendercene cura nei prossimi mesi.

Per chi ne avesse voglia e possibilità si potrebbe portare qualcosa per condividere una merenda insieme. 

Questo video https://youtu.be/zFbWBai1G9Q mostra la situazione attuale (al 28 Marzo). 

Una comunità chiusa fuori

Sulla vicenda di Sala Pinelli, dopo mesi di attesa, il Comune ha battuto un colpo anche grazie al polverone scatenato dai numerosi articoli di stampa a seguito di questo comunicato

“L’amministrazione non sa come applicare il Regolamento Beni Comuni”. Lo avevamo detto e oggi abbiamo la “confessione” da parte dell’assessora Benciolini.

Ma la risposta non è certamente quella sperata dalla comunità di riferimento.

L’assessora infatti ha chiarito che il Comune non è pronto per la Dichiarazione di uso civico, proponendo un ben meno impegnativo patto di collaborazione. Che però non è la forma utile, né richiesta, dall’assemblea della sala.

Quindi nessun riconoscimento della comunità della sala, che doveva essere il pilastro “rivoluzionario” del Regolamento patavino, anzi. Perché nel frattempo la comunità di sala Pinelli è stata sbattuta fuori e il Comune ha provveduto a cambiare le chiavi, trattennendo all’interno tutti i materiali, e interrompendo tutte le attività.

La sala, insomma, è tornata chiusa.

Pubblichiamo un commento a caldo da parte di uno degli attivisti di via Pinelli. Che nel frattempo, in polemica, ha abbandonato il progetto:

Ho deciso di prendermi del tempo per provare a riordinare le idee ma, leggendo quest’articolo, non posso non provare a rispondere a caldo su alcune questioni poste dall’assessora.

(NB: Non faccio più parte di Officina quindi questo sfogo è a titolo meramente personale)

1) 𝐀𝐛𝐛𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐩𝐢𝐚/𝐢𝐧𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐃𝐢𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐮𝐬𝐨 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐜𝐨.
Sì, siamo colpevoli. Però a ben vedere quest’accusa l’assessora dovrebbe rivolgerla verso sé stessa. Perché il Comune che lei amministra si è tanto vantato di essere il primo in Italia ad aver inserito all’interno del Regolamento beni comuni la figura dell’Uso civico. E oggi ci dice che non sanno come attuare quel regolamento.

Se l’assessora si fosse messa nei nostri panni si sarebbe agevolmente accorta che non essendoci in Italia dichiarazioni di uso civico poste in essere poteva essere una buona idea stilare un vademecum, una traccia, un “template” su cui basarsi. Il Comune non sa come si faccia a dichiarare un uso civico e si aspetta che i cittadini sappiano scriverne uno? Cos’altro potevamo fare se non trarre spunto dall’unica bozza in questo momento presentata, quella dell’ex Macello di Padova (che, ricordiamolo, aspetta ancora risposta).

2) 𝐒𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐮𝐧 𝐦𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐢𝐧𝐨. Forse all’assessora sfugge un particolare: l’idea di sala Pinelli, che noi trovammo letteralmente come magazzino di frutta e verdura durante la pandemia, nasce proprio dalla necessità di far fronte alle centinaia di richieste settimanali di computer durante il lockdown, quando giravamo per la città a recuperare i dispositivi informatici. Il risultato? Le nostre case, non certo regge, invase da computer e noi costretti a pranzare in divano perché nel frattempo il tavolo era invaso da case e monitor. Ci scusi il Comune quindi se il nostro progetto non è fatto di idee ma di ferraglia, monitor e tastiere.

E non ci venga detto che non abbiamo fatto tutto il possibile per provare a limitare il problema. Perché se non fosse stato per noi quella sala sarebbe ancora completamente vuota e priva di mobilio: le nostre braccia hanno provato a dare un ordine portando i mobili che oggi si trovano all’interno della sala chiusa a chiave. E avremmo pure fatto di meglio se una solerte funzionaria non ci avesse intimato di non portare altro mobilio, per provare a riorganizzare gli spazi. La stessa funzionaria che, nel momento in cui ci veniva consegnata la sala come Officina, si premurò di avvertirci che “comunque qui non potete tenere i computer”. È la burocrazia, baby.

E ancora: sarebbe stato molto più semplice se il Comune avesse accettato di mediare con AcegasApsAmga nel tentativo di poter conferire i dispositivi non recuperabili presso i centri di raccolta. Ma evidentemente sordi all’idea che la “spazzatura informatica” abbia un valore e che il progetto anzi potesse fungere da filtro per fare in modo che questi materiali fossero correttamente smaltiti siamo stati costretti a conferire da normali cittadini quei materiali presso i centri. Tre alla volta, in un anno. Poco importa che fossero monitor o mouse, sempre tre pezzi.

Inevitabilmente se fai un lavoro di riuso e recupero ti vengono donati materiali che possono non funzionare. E se recuperi computer inevitabilmente ogni 100 computer raccolti una percentuale importante – e ingombrante – non sarà recuperabile. Siamo bravi ma per i miracoli ci stavamo attrezzando.

Ma ben consci del problema ci eravamo pure attivati per chiedere al Comune un magazzino in cui tenere tutto ciò che non poteva essere riciclato e, quando sembravano aver individuato un garage (non proprio vicinissimo alla sala), gli stessi addetti scoprono che quel posto è già assegnato come sede a un’altra associazione!

3) 𝐒𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐚𝐛𝐮𝐬𝐢𝐯𝐢? Lo si chieda alle persone che ci gravitavano intorno, agli abitanti del quartiere, al coro e al gruppo teatrale che avevano finalmente un posto in cui provare, alle persone che hanno ricevuto in donazione un computer che altrimenti non avrebbero potuto permettersi. A chi lì dentro ci ha lavorato gratuitamente in coworking, agli anziani a cui veniva data assistenza informatica. Alle decine di persone che hanno attraversato quella sala, si sono scambiate esperienze, hanno prodotto video e foto, si sono riunite.

Non abbiamo mai chiesto contributi economici o favori.
Abbiamo aperto una sala chiusa e l’abbiamo resa davvero di tutte e tutti. Come dovrebbe essere per una sala pubblica che sognava, da grande, di diventare comune.

Perché se abusivismo significa vita, significa socialità, burocrazia evidentemente significa silenzio e morte. Come una sala che era chiusa ed è tornata ad essere chiusa. La legalità ha vinto, sia messo agli atti. Viva allora l’abusivismo.

Scusate ma non potevo esimermi.

Fabio D’Alessandro (Ex Officina Informatica)

A integrazione ricondividiamo pure un breve testo di Nicola Capone (libero ricercatore, docente e attivista) a commento della vicenda:

Sia nel Regolamento sia nelle FAQ ad esso allegate i passaggi per avviare il percorso di riconoscimento del “Diritto d’uso civico e collettivo” di uno spazio riconosciuto “bene comune”, ovvero funzionale all’esercizio dei diritti fondamentali, sono molto chiari e lineari. Il problema non è tecnico, è politico. E questo non è una novità, perché non c’è tecnica, a mio parere, che non sia politica e per inverso non c’è politica che non abbia anche aspetti tecnici. Il punto è che il “Diritto d’uso civico e collettivo” pone questioni sia tecniche che politiche, ad altissima intensità perché mette in discussione gli assetti proprietari del bene, che – nonostante la dottrina giuridica, le sentenze della Corte suprema e una consolidata prassi amministrativa – sono ancora rigidamente incardinati in una dogmatica struttura privatistica da ancien régime.

Finanche la proprietà pubblica è intrappolata dalla tecnica giuridica e politica di un diritto privato vecchio stampo che orienta amministratori e tecnici a ritenere il bene pubblico di “appartenenza” all’ente pubblico territoriale, riducendo il Comune al “solo” ruolo di “proprietario” dei beni a lui nominalmente attribuiti.

Questo clamoroso “equivoco” non tiene conto del fatto che lo schema proprietario applicato ai beni pubblici ha la funzione di garantire, da parte dell’ente, l’appartenenza collettiva del bene e gli interessi generali ad esso collegati. Per questo motivo si usa la “fictio” del titolo di proprietà: il bene è in proprietà dell’ente di riferimento perché questo si faccia garante dell’appartenenza collettiva del bene stesso. In questo senso si dice che il Comune, ad esempio, è un’ente esponenziale della comunità. Come da questo approccio si sia passati all’esproprio dei beni di appartenenza collettiva da parte degli enti pubblici sotto l’emblema di Beni pubblici è uno dei grandi inganni perpetrati a danno della democrazia costituzionale. Tornando a noi, questa postura impedisce alla parte tecnica-dirigenziale di operare. Per quanto riguarda la parte politica c’è il grande tabù della “libera e autonoma” iniziativa dei singoli e degli associati, relativamente al tema dell’uso, della gestione e del governo dei beni pubblici. Il tema potrebbe essere posto in questi termini: come garantire l’autonomia delle comunità di riferimento di un bene comune ad uso civico e collettivo, evitando che questa autonomia si traduca in un uso esclusivo e privatistico del bene da parte di un gruppo ristretto? Come evitare che il ruolo di garante svolto dall’ente pubblico, per tutelare l’appartenenza collettiva del bene comune e il diritto d’uso civico e collettivo, si tramuti in una forma di inibizione dell’autonoma iniziativa degli/delle abitanti, che invece dovrebbe essere costituzionalmente “favorita”? Una via, pure prevista dal Regolamento dei beni comuni di Padova, è la co-progettazione o, in ogni caso, la possibilità di avviare un processo di partecipazione pubblica volto a istituire/riconoscere, sperimentare e validare il “diritto d’uso civico e collettivo”.

Al limite, in via transitoria, si potrebbe concordare un “patto di collaborazione complesso” – che io chiamerei “Patto di comunità” – che ha come oggetto proprio l’istituzione di una prassi d’uso civico e collettivo o il consolidamento di una prassi già esistente. Sarebbe un’occasione di “conflitto” altamente istruttivo, una forma animatissima di apprendimento istituzionale. Questo permetterebbe di sperimentare una forma di accesso alla città che non è scontata e richiede tanto coraggio da parte di tutti i soggetti coinvolti. Mi scuso se sono stato schematico e troppo sintetico ma spero ci siano altre occasioni di approfondimento.

Sala Pinelli Bene Comune: a che punto siamo?

Da oltre 10 mesi l’assemblea di gestione della sala di via Pinelli ha presentato la richiesta di riconoscimento dell’Uso Civico e collettivo secondo le modalità previste dal Regolamento dei Beni Comuni approvato dall’amministrazione il 24/11/2021.

Il sindaco Giordani e la sua giunta hanno spesso presentato il Regolamento dei Beni Comuni come uno strumento di partecipazione diretta dei cittadini alla gestione dei beni. Uno strumento però che attualmente è fermo al palo. 

Risultano appena 3 i patti stipulati finora aventi ad oggetto o beni immateriali oppure piccoli interventi di verde pubblico cimiteriale: un risultato deludente per un Regolamento sbandierato come “il più avanzato d’Italia”. 

La comunità di riferimento di Sala Pinelli, che gestisce le attività ormai da oltre due anni, avrebbe potuto rappresentare un cambio di rotta. Ricordiamo infatti che la possibile assegnazione della Sala è stato il frutto di una decisione unilaterale del Comune di inserirla tra i beni assegnabili. 

Poteva apparire scontato che, in presenza di una comunità di riferimento attiva, riconoscibile e organizzata in assemblea e in presenza della Sala tra i beni assegnabili, il procedimento amministrativo avrebbe dovuto essere una mera formalità. 

Invece nonostante le attività all’interno della sala abbiano dovuto subire una brusca sospensione in attesa della decisione del Comune ci troviamo a ribadire l’urgenza del riconoscimento della nostra esperienza come esperienza di comunità, aperta alla cittadinanza e che riqualifichi e renda nuovamente fruibile un Bene Comune rimasto chiuso per troppo tempo.

È il momento che il Comune decida se lo strumento di democrazia partecipativa di cui si è dotato è solo un oggetto di propaganda oppure possa servire a valorizzare esperienze culturali e sociali, tenuto conto della cronica mancanza di spazi comuni di cui soffre questa città.

Per questo motivo abbiamo indirizzato al Sindaco questa lettera aperta:

Allattenzione del Sindaco del Comune di Padova

Gentile Sindaco,

dopo mesi di attese ci troviamo costrett* a scrivere questa lettera aperta per provare a fare il punto sul riconoscimento dell’esperienza di Sala Pinelli come Uso Civico da parte del Comune. 

Per completezza occorrerà ricordare brevemente i passaggi che hanno caratterizzato la storia di questa sala.

La sala comunale di via Pinelli è una struttura di proprietà comunale sita in rione Crocifisso, rimasta inutilizzata per molto tempo. Durante il lockdown, sotto l’egida del CSV, la sala è stata riaperta e adoperata per le operazioni di volontariato del Centro Servizi Volontariato. 

Esaurito il picco dell’emergenza pandemica il CSV, con encomiabile sguardo al futuro e capacità di lettura dei processi sociali, ha fatto da tramite affinché molti dei servizi e delle attività che si svolgevano all’interno della sala potessero continuare ad esistere, stipulando una convenzione con il Comune per permettere la continuità delle attività svolte. 

Dall’esperienza in collaborazione con il CSV nasce, in nuce, la prima comunità di riferimento della sala. Le attività per il quartiere e la cittadinanza ottengono il riconoscimento del Centro Servizi Volontariato e, di riflesso, da parte del Comune che concede la sala e, addirittura, ne proroga l’utilizzo oltre la scadenza naturale. 


All’interno della sala si svolgono attività rivolte ai bambini, agli abitanti del quartiere e ai cittadini tutt*.

La comunità di riferimento comincia a dotarsi degli strumenti decisionali necessari al corretto funzionamento della sala e nasce l’assemblea di sala Pinelli, una struttura orizzontale formata dalle realtà che hanno dato vita all’esperienza della sala e da altre realtà che vi collaborano in modo stabile e continuativo. 

Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 103 del 25/10/2021 il Comune di Padova si dota del c.d. Regolamento Beni Comuni, uno strumento di democrazia partecipata che, nelle intenzioni dei promotori, intende radicalmente modificare i rapporti tra i cittadini e i “beni comuni” individuati o da individuare. 

Si tratta di un provvedimento orgogliosamente sbandierato dagli amministratori contenente, come novità assoluta rispetto ai tanti comuni che si sono già dotati di strumenti simili, la possibilità di riconoscimento da parte di questo ente dei c.d. usi civici da parte delle comunità di riferimento. 


Il regolamento raccoglie subito l’interesse dell’assemblea di via Pinelli e viene ritenuto lo strumento più adeguato per la valorizzazione della nostra esperienza che avrebbe tutte le carte in regola per il riconoscimento dell’uso civico e collettivo.

Con enorme sorpresa, senza che da parte della comunità di riferimento della sala vi fossero pressioni o interlocuzioni con l’amministrazione, la sala è stata inserita all’interno della prima mappatura dei beni comuni assegnabili in data 22.02.2021. 


Il tutto senza che il Comune si premurasse di informare la comunità di riferimento. 

Considerando le attività svolte fin lì dalle associazioni, dai singoli e dai gruppi informali costituitisi in assemblea era opinione condivisa che il riconoscimento dell’uso civico e collettivo della sala fosse solo una formalità i cui tempi fossero semplicemente dettati dalle nuove formalità giuridiche da applicare al regolamento appena approvato. 

Non vi era dubbio tra le realtà che proponevano il riconoscimento che, esistendo la comunità di riferimento e la prova delle attività fino a quel momento svolte, la procedura sarebbe stata rapida e immediatamente operativa. 


Forte di questa convinzione tutte le componenti di via Pinelli riunite in assemblea in data 14/04/2022 si premurano di inviare la documentazione necessaria per l’avvio dell’iter. 

Alla base della proposta, approvata all’unanimità dall’assemblea, vi era la possibilità di autogestire in autonomia la sala ma aprendo a qualunque realtà volesse innestarsi nel percorso già intrapreso. Questa considerazione era fondante rispetto alla richiesta, motivata dalle molte attività che in sala si svolgevano o che si programmava di svolgere. 

Invece il procedimento si è immediatamente arenato e il Comune ha interrotto ogni comunicazione con le realtà proponenti. 

A parte due contatti telefonici con gli addetti del Gabinetto del Sindaco ad oggi non si hanno più notizie del procedimento. 

Questa inerzia da parte del Comune ha determinato la sostanziale sospensione delle attività previste e/o programmate all’interno della sala.

Se l’inattività del Comune poteva essere giustificabile, in un primo momento e per cause totalmente imputabili all’ente, dalla mancata formazione del personale e la mancanza di figure di coordinamento del procedimento ci risulta però che mesi addietro le attività di formazione delle figure preposte sia stata effettuata da Labsus e che sia stato preparato il vademecum necessario per determinare i ruoli degli enti coinvolti. 

Questo silenzio, lungo più di 6 mesi, ad oggi ci risulta incomprensibile. Il regolamento dei Beni Comuni non doveva essere il fiore all’occhiello della democrazia partecipativa? La sostanziale continuità amministrativa con la precedente giunta, guidata dallo stesso sindaco Giordani, aveva fatto immaginare un iter meno tortuoso affinché il Regolamento fosse posto pienamente in essere.

Lo stesso Giordani, partecipando all’evento  “L’immaginazione civica – il Regolamento dei Beni Comuni a Padova; non una cosa qualsiasi” organizzata da Coalizione Civica per Padova, usava parole inequivocabili circa l’interesse per l’amministrazione implementare i patti di collaborazione e gli usi civici, garantendo il proprio sostegno.

Ad oggi però, da quanto risulta dai canali ufficiali, sono solo tre le esperienze riconosciute di Beni Comuni nella città di Padova. 

https://www.padovanet.it/informazione/cittadinanza-attiva-i-beni-comuni

Senza voler sminuire l’importanza delle singole esperienze ci chiediamo se davvero la sottoscrizione di tre patti di collaborazione – due riferibili a fioriere e aiuole cimiteriali e una riguardante una generica opera di pulizia e lotta al degrado – in sei mesi rappresentano per l’attuale giunta la piena applicazione di un regolamento che è stato definito “rivoluzionario”. 

Speravamo che l’esperienza di Sala Pinelli contribuisse a dare lustro al Regolamento andando a invertire il paradigma della partecipazione condivisa tra Amministrazione Comunale e Cittadinanza Attiva. 

L’ultima comunicazione ufficiale del Comune invece ci riporta con i piedi per terra, costringendoci ad affermare che nulla è cambiato nel rapporto tra Pubblica Amministrazione e Cittadinanza. 

Nell’ultima mail, in data 10/08/2022 i proponenti venivano informati che “la proposta di collaborazione relativa a Sala Pinelli è stata presa in carico dal Settore competente, Servizi Demografici e Cimiteriali, Decentramento”.

Inoltre la mail specifica che è stata avviata la procedura per un Patto di Collaborazione che prevede il coinvolgimento del Tavolo di Comunità dei Servizi Sociali.


Da un punto di vista meramente amministrativo facciamo notare che il patto di collaborazione non era in nessun modo previsto dalla richiesta di questa assemblea. Né nella richiesta di riconoscimento dell’uso civico né nelle comunicazioni successivamente intercorse tra i proponenti e l’amministrazione. Se questa Amministrazione intende rispettare quanto approvato dal Consiglio Comunale riteniamo debba esprimersi sulle richieste dell’assemblea di via Pinelli – cioè il riconoscimento dell’uso civico – e non formulare proposte nuove che sono state esplicitamente escluse dalla comunità di riferimento per motivi organizzativi. 

Nella mail in oggetto inoltre si fa riferimento al “previsto coinvolgimento del  Tavolo di Comunità dei Servizi Sociali”, soggetto che formalmente non fa parte dell’assemblea. Nel premettere che le realtà di Sala Pinelli hanno, nel corso del tempo, collaborato attivamente con il suddetto tavolo per la creazione di eventi specifici appare necessario ricordare che la natura della nostra assemblea è aperta e plurale.

Nulla osta, nel caso il Tavolo di Comunità dei Servizi Sociali esprimesse tale desiderio, all’integrazione dello stesso all’interno della nostra assemblea. Altra cosa invece ci appare il voler snaturare la natura della richiesta – ma sopratutto dell strumento dell’uso civico – alle necessità dell’amministrazione che nulla hanno a che vedere con il Regolamento. 

Con la presente mail intendiamo dunque ribadire le nostre richieste, così come formulate nella proposta inoltrata secondo i criteri individuati da questa amministrazione e stimolare una reazione da parte della macchina amministrativa, evidentemente inceppatasi. 

Riteniamo inoltre che si debba agire con celerità poiché i ritardi amministrativi hanno ripercussioni importanti nelle attività della sala – lo ripetiamo, sostanzialmente congelate – e nella tenuta della comunità di riferimento che, privata del luogo fisico naturale di azione, rischia di veder crollare l’interesse per lo svolgimento delle attività e l’entusiasmo verso l’esperienza collettiva della gestione di un Bene Comune. 

Che non sarebbe una buona notizia per la città e per il quartiere. E sicuramente non è quell’inversione di tendenza che il Regolamento Beni Comuni avrebbe dovuto apportare nel rapporto tra cittadini e istituzioni.

Assemblea di riferimento della Sala Pinelli

Beni comuni, l’amministrazione è ferma «Non sa come applicare il regolamento»

L’ASSEMBLEA ALL’EX MACELLO

C’è evidentemente una distanza imprevista, creata da un meccanismo inceppato, fra la teoria di un regolamento – nella fattispecie quello per il riconoscimento dei beni comuni – e la pratica. Da un anno Padova si è messa in una posizione coraggiosa di avanguardia con l’apertura al riconoscimento dell’uso condiviso di spazi e strutture pubblici. 

Ma al di là di piccoli interventi di manutenzione gratuita (due fiorire e un lavoro di pulizia), richiesti dai cittadini e autorizzati dal Comune, finora non è successo niente. L’ex macello di via Cornaro è il luogo simbolo in questo senso: la comunità di riferimento, che raggruppa le tante associazioni interessate a quel complesso, insiste per chiederne l’uso civico e ha anche presentato un progetto per farne un parco didattico. 

Ma da mesi il Comune non risponde,, così come ha lasciato cadere nel vuoto la proposta di un incontro mediato da una personalità super partes. «L’impressione è che non sappiano cosa fare», hanno detto tanti partecipanti all’assemblea che si è svolta sabato pomeriggio all’ex macello. Altri, più critici, come il portavoce di Acqua bene comune, Gianni Sbrogiò, cominciano a sospettare che l’amministrazione, attraverso quel regolamento, voglia solo «ottenere lavoro non retribuito». 

Anche per la sala Pinelli è stata richiesto il riconoscimento come Bene comune: «E anche in questo caso l’amministrazione era impreparata», ha sottolineato Fabio D’Alessando, «tant’è che l’attività nella sala è stata sospesa, prosegue solo di martedì, ma gli uffici sono in attesa di un vademecum interno su come applicare il regolamento». L’ex macello è stato a lungo al centro del confronto. 

Un po’ perché lo sgombero del gennaio 2020 brucia ancora («C’è un ricorso al Tar ma non è stato ancora discusso», ha ricordato Adriano Menin), vuoi perché lì dentro c’è un patrimonio rimasto inaccessibile («Abbiamo tantissimi libri che si stanno rovinando», ha denunciato Francesco Spagna), ma soprattutto perché nell’attesa di qualcosa che quasi sicuramente non succederà – il progetto milionario di Città della Scienza voluto dall’assessore alla Cultura Colasio – è stato sottratto alla città uno spazio dove batteva il cuore di decine di associazioni. Che però non mollano e insisteranno ancora.

Tratto da Il Mattino di Padova – 18/10/2022

(REPORT) Assemblea Rete Beni Comuni – 15.10.22

Assemblea cittadina sui Beni Comuni a Padova

Ex Macello, via Cornaro, sabato 15 settembre 2022

A distanza di cinque mesi dalla precedente assemblea, la Rete Beni Comuni ha organizzato una nuova Assemblea pubblica negli spazi dell’Ex Macello di via Cornaro. Se quella del 20 maggio aveva fatto il punto e messo in luce le ombre relative all’area dell’Ex Macello, l’incontro del 15 ottobre ha visto circa quaranta partecipanti condividere le rispettive esperienze sui beni comuni ad un anno (23 ottobre 2021) dall’approvazione del Regolamento cittadino.

Le dichiarazioni d’uso civico e collettivo

In apertura, Annalisa Di Maso ha illustrato il percorso dell’Assemblea Ex Macello che ha presentato una Dichiarazione d’uso civico e collettivo a Dicembre 2021 (secondo le norme del Regolamento Comunale), ricostruendo anche la progettualità ed il percorso delle associazioni e dei cittadini all’Ex Macello fra il 1975 e il 15 gennaio 2020 (data dello sgombero forzato della CLAC dall’Ex Macello). L’impressione ricavata dall’interlocuzione con l’Amministrazione è che non ci sia ancora chiarezza da parte dell’Amministrazione su come procedere rispetto alle dichiarazioni d’uso civico; non è stata data alcuna risposta neppure alla proposta (tramite pec) di procedere ad una progettazione condivisa con la mediazione di una parte terza. L’obiettivo rimane quello di evitare che l’area venga “privatizzata” e di mantenerla fruibile da parte di tutta la cittadinanza. 

A questo proposito, Francesco Spagna ha ricordato l’enorme patrimonio di libri (con particolare attenzione per l’ambiente e la cultura veneta) attualmente murato ed inaccessibile (a rischio degrado) nella palazzina precedentemente gestita da CLAC all’Ex Macello. Adriano Menin ha sottolineato che nel Marzo 2020 la CLAC ha inoltrato un ricorso al TAR contro lo sgombero del gennaio 2020. La risposta a tale ricorso non è stata ancora finalizzata. Inoltre, ha ricordato la proposta di Parco Didattico (con laboratorio didattico-ecologico) che la CLAC aveva presentato al Comune, in particolare nel 2013, compresa l’ “adozione del parco”, proposte su cui si è preferito non rispondere. Nonostante tutto, a settembre 2021 è stato possibile realizzare una splendida mostra con una selezione delle macchine informatiche collezionate per iniziativa di Francesco Piva e della CLAC in collaborazione con il Club UNESCO.

In merito alle politiche sui beni culturali, sono stati introdotti da Sabrina i dati dei sondaggi raccolti dalla campagna Mi Riconosci (https://www.miriconosci.it/) per il riconoscimento delle professioni in questo ambito. Ha sottolineato come la Legge Ronchei (1993) abbia introdotto il settore culturale alla possibilità di privatizzazioni e esternalizzazioni (comprese didattica e servizi), al punto che oggi di pubblico è rimasto ben poco, con un peggioramento delle condizioni dei lavoratori (pagati mediamente da 4 a 8 euro l’ora) e della logica degli appalti al ribasso.

Fra le proposte della campagna ha segnalato: i biglietti gratuiti per i residenti; i biglietti omnicomprensivi per la visita dei diversi beni.

Fabio D’Alessandro ha ripercorso l’esperienza di Officina Informatica (https://www.facebook.com/OfficinaInformaticaPD), attiva in via Pinelli, sala inclusa nella lista emanata dal Comune fra i “beni comuni” (attualmente 12). La richiesta di attivare la cura della sala come bene comune ha trovato impreparata, di fatto, l’Amministrazione. Ogni martedì le attività proseguono, nonostante il Gabinetto del Sindaco, in seguito alla richiesta, abbia comunicato di sospendere le attività in attesa della risposta del Comune. Tale risposta sembra a sua volta in attesa di un Vademecum interno del Comune su come gestire il Regolamento; ed il Vademecum sembra debba far riferimento ad un’ulteriore definizione di criteri con cui identificare i “beni comuni” (per ora annunciati, ma non comunicati). 

Ha ricordato che i patti attivati ad oggi, dopo un anno, sono solo tre: due relativi alle fioriere del cimitero ed una con Retake (per “ripulire” Padova, in particolare dagli adesivi). Inoltre, ha sottolineato come Padova stia diventando una “città senza spazi”. Ha proposto, incontrando consensi, di organizzare la prossima assemblea in via Pinelli.

Acqua bene comune

Sebastiano Rizzardi ha condiviso quanto è avvenuto di recente a San Giorgio in Bosco (6200 ab.), comune che si trova su un’importante falda acquifera, gestita da Acquavera (dal 1979), in accordo con la Regione, prima con la famiglia Pasquale e poi con Nestlé. Acquavera intende appaltare alla famiglia Quaiolo l’imbottigliamento dell’acqua (con impianto da 16.000 metri quadrati), previa concessione che coinvolge fondi cinesi e inglesi. Contestualmente, le pompe private hanno cominciato ad incontrare problemi a pompare l’acqua e la cosa ha generato un’assemblea pubblica molto partecipata. Una petizione che ha raccolto 2000 firme contro la concessione lanciata tramite Change.org nell’estate 2022 ha messo in imbarazzo l’Amministrazione che ha finito per dare parere non favorevole alla concessione.

Gianni Sbrogiò ha richiamato il no della giunta padovana alla Quarta linea dell’inceneritore: un no definito “inutile” se non viene accompagnato da altre azioni che lo rendano credibile nella conferenza dei servizi: di fatto il Comune di Padova ha lasciato i cittadini da soli a ricorrere al TAR (https://www.facebook.com/noinceneritorepadova/).

Ha quindi sottolineato l’importanza del “saper fare insieme”. Ha suggerito a tutti coloro che lottano a Padova, compreso la Rete dei Beni Comuni di dar vita ad una piattaforma con gli obiettivi che si ritengono comuni e utile da perseguire in modo collaborativo

Riguardo al Regolamento Beni Comuni, osservando i tre patti stipulati, ha rilevato che l’unica cosa che sembra emergere siano dei patti per ottenere lavoro non retribuito.

Attività in corso e prossimi passi

Lia Toller ha evidenziato come un’altra area cittadina, quella delle ex caserme Prandina, sia un bene comune (sia ambientale sia storico) e ha invitato a partecipare all’incontro del 22 ottobre sul futuro dell’area, oggi minacciata dall’uso a parcheggio. Ha dovuto constatare l’indifferenza dell’Amministrazione comunale nei confronti delle proposte, progetto e manifesto già presentati dalle associazioni e cui non è stata data risposta.

Diletta e Elisa hanno ricordato che il primo maggio 2019 lo Spazio Catai occupò una casetta dell’Ater in Arcella, che venne ribattezzata Casetta Berta, denunciando contestualmente i problemi relativi al diritto alla casa a Padova. Lo spazio venne successivamente sgomberato e, per ora, non ri-assegnato. Attualmente, pagando un affitto, Casetta Berta ha riaperto uno spazio (in e per il quartiere) in via Pierobon, con Sportello sociale, recupera di frutta e verdura al MAAP, attività di sostegno e corsi di lingua aperte a tutti coloro che vogliano partecipare e collaborare (https://www.facebook.com/BertaCasetta/). 

In chiusura, Alessio Surian (Assemblea Ex Macello) ha sottolineato l’importanza di definire obiettivi comuni ad esperienze in questo ambito in modo da dar vita ad una piattaforma, in particolare per diffondere e sostenere le esperienze di autogestione legate agli usi civici e collettivi, elemento importante (anche se per ora disatteso) del Regolamento patavino.

I partecipanti si sono quindi trasferiti nell’atrio d’entrata per ascoltare il concerto dei Combo Suonda, che ha richiamato anche numerosi passanti in via Cornaro. Il gruppo – che ha introdotto a Padova il linguaggio del “Ritmo con i segni” – era stato l’ultimo gruppo ad aver suonato nei locali sgomberati il 15 gennaio 2020 ed ha fatto riverberare con la propria musica la volontà di continuare a far “vivere” i beni comuni e gli spazi d’incontro cittadini.

ELENCO BENI COMUNI E PATTI STIPULATI (FONTE COMUNE DI PADOVA)

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