Una comunità chiusa fuori

Sulla vicenda di Sala Pinelli, dopo mesi di attesa, il Comune ha battuto un colpo anche grazie al polverone scatenato dai numerosi articoli di stampa a seguito di questo comunicato

“L’amministrazione non sa come applicare il Regolamento Beni Comuni”. Lo avevamo detto e oggi abbiamo la “confessione” da parte dell’assessora Benciolini.

Ma la risposta non è certamente quella sperata dalla comunità di riferimento.

L’assessora infatti ha chiarito che il Comune non è pronto per la Dichiarazione di uso civico, proponendo un ben meno impegnativo patto di collaborazione. Che però non è la forma utile, né richiesta, dall’assemblea della sala.

Quindi nessun riconoscimento della comunità della sala, che doveva essere il pilastro “rivoluzionario” del Regolamento patavino, anzi. Perché nel frattempo la comunità di sala Pinelli è stata sbattuta fuori e il Comune ha provveduto a cambiare le chiavi, trattennendo all’interno tutti i materiali, e interrompendo tutte le attività.

La sala, insomma, è tornata chiusa.

Pubblichiamo un commento a caldo da parte di uno degli attivisti di via Pinelli. Che nel frattempo, in polemica, ha abbandonato il progetto:

Ho deciso di prendermi del tempo per provare a riordinare le idee ma, leggendo quest’articolo, non posso non provare a rispondere a caldo su alcune questioni poste dall’assessora.

(NB: Non faccio più parte di Officina quindi questo sfogo è a titolo meramente personale)

1) 𝐀𝐛𝐛𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐩𝐢𝐚/𝐢𝐧𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐃𝐢𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐮𝐬𝐨 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐜𝐨.
Sì, siamo colpevoli. Però a ben vedere quest’accusa l’assessora dovrebbe rivolgerla verso sé stessa. Perché il Comune che lei amministra si è tanto vantato di essere il primo in Italia ad aver inserito all’interno del Regolamento beni comuni la figura dell’Uso civico. E oggi ci dice che non sanno come attuare quel regolamento.

Se l’assessora si fosse messa nei nostri panni si sarebbe agevolmente accorta che non essendoci in Italia dichiarazioni di uso civico poste in essere poteva essere una buona idea stilare un vademecum, una traccia, un “template” su cui basarsi. Il Comune non sa come si faccia a dichiarare un uso civico e si aspetta che i cittadini sappiano scriverne uno? Cos’altro potevamo fare se non trarre spunto dall’unica bozza in questo momento presentata, quella dell’ex Macello di Padova (che, ricordiamolo, aspetta ancora risposta).

2) 𝐒𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐮𝐧 𝐦𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐢𝐧𝐨. Forse all’assessora sfugge un particolare: l’idea di sala Pinelli, che noi trovammo letteralmente come magazzino di frutta e verdura durante la pandemia, nasce proprio dalla necessità di far fronte alle centinaia di richieste settimanali di computer durante il lockdown, quando giravamo per la città a recuperare i dispositivi informatici. Il risultato? Le nostre case, non certo regge, invase da computer e noi costretti a pranzare in divano perché nel frattempo il tavolo era invaso da case e monitor. Ci scusi il Comune quindi se il nostro progetto non è fatto di idee ma di ferraglia, monitor e tastiere.

E non ci venga detto che non abbiamo fatto tutto il possibile per provare a limitare il problema. Perché se non fosse stato per noi quella sala sarebbe ancora completamente vuota e priva di mobilio: le nostre braccia hanno provato a dare un ordine portando i mobili che oggi si trovano all’interno della sala chiusa a chiave. E avremmo pure fatto di meglio se una solerte funzionaria non ci avesse intimato di non portare altro mobilio, per provare a riorganizzare gli spazi. La stessa funzionaria che, nel momento in cui ci veniva consegnata la sala come Officina, si premurò di avvertirci che “comunque qui non potete tenere i computer”. È la burocrazia, baby.

E ancora: sarebbe stato molto più semplice se il Comune avesse accettato di mediare con AcegasApsAmga nel tentativo di poter conferire i dispositivi non recuperabili presso i centri di raccolta. Ma evidentemente sordi all’idea che la “spazzatura informatica” abbia un valore e che il progetto anzi potesse fungere da filtro per fare in modo che questi materiali fossero correttamente smaltiti siamo stati costretti a conferire da normali cittadini quei materiali presso i centri. Tre alla volta, in un anno. Poco importa che fossero monitor o mouse, sempre tre pezzi.

Inevitabilmente se fai un lavoro di riuso e recupero ti vengono donati materiali che possono non funzionare. E se recuperi computer inevitabilmente ogni 100 computer raccolti una percentuale importante – e ingombrante – non sarà recuperabile. Siamo bravi ma per i miracoli ci stavamo attrezzando.

Ma ben consci del problema ci eravamo pure attivati per chiedere al Comune un magazzino in cui tenere tutto ciò che non poteva essere riciclato e, quando sembravano aver individuato un garage (non proprio vicinissimo alla sala), gli stessi addetti scoprono che quel posto è già assegnato come sede a un’altra associazione!

3) 𝐒𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐚𝐛𝐮𝐬𝐢𝐯𝐢? Lo si chieda alle persone che ci gravitavano intorno, agli abitanti del quartiere, al coro e al gruppo teatrale che avevano finalmente un posto in cui provare, alle persone che hanno ricevuto in donazione un computer che altrimenti non avrebbero potuto permettersi. A chi lì dentro ci ha lavorato gratuitamente in coworking, agli anziani a cui veniva data assistenza informatica. Alle decine di persone che hanno attraversato quella sala, si sono scambiate esperienze, hanno prodotto video e foto, si sono riunite.

Non abbiamo mai chiesto contributi economici o favori.
Abbiamo aperto una sala chiusa e l’abbiamo resa davvero di tutte e tutti. Come dovrebbe essere per una sala pubblica che sognava, da grande, di diventare comune.

Perché se abusivismo significa vita, significa socialità, burocrazia evidentemente significa silenzio e morte. Come una sala che era chiusa ed è tornata ad essere chiusa. La legalità ha vinto, sia messo agli atti. Viva allora l’abusivismo.

Scusate ma non potevo esimermi.

Fabio D’Alessandro (Ex Officina Informatica)

A integrazione ricondividiamo pure un breve testo di Nicola Capone (libero ricercatore, docente e attivista) a commento della vicenda:

Sia nel Regolamento sia nelle FAQ ad esso allegate i passaggi per avviare il percorso di riconoscimento del “Diritto d’uso civico e collettivo” di uno spazio riconosciuto “bene comune”, ovvero funzionale all’esercizio dei diritti fondamentali, sono molto chiari e lineari. Il problema non è tecnico, è politico. E questo non è una novità, perché non c’è tecnica, a mio parere, che non sia politica e per inverso non c’è politica che non abbia anche aspetti tecnici. Il punto è che il “Diritto d’uso civico e collettivo” pone questioni sia tecniche che politiche, ad altissima intensità perché mette in discussione gli assetti proprietari del bene, che – nonostante la dottrina giuridica, le sentenze della Corte suprema e una consolidata prassi amministrativa – sono ancora rigidamente incardinati in una dogmatica struttura privatistica da ancien régime.

Finanche la proprietà pubblica è intrappolata dalla tecnica giuridica e politica di un diritto privato vecchio stampo che orienta amministratori e tecnici a ritenere il bene pubblico di “appartenenza” all’ente pubblico territoriale, riducendo il Comune al “solo” ruolo di “proprietario” dei beni a lui nominalmente attribuiti.

Questo clamoroso “equivoco” non tiene conto del fatto che lo schema proprietario applicato ai beni pubblici ha la funzione di garantire, da parte dell’ente, l’appartenenza collettiva del bene e gli interessi generali ad esso collegati. Per questo motivo si usa la “fictio” del titolo di proprietà: il bene è in proprietà dell’ente di riferimento perché questo si faccia garante dell’appartenenza collettiva del bene stesso. In questo senso si dice che il Comune, ad esempio, è un’ente esponenziale della comunità. Come da questo approccio si sia passati all’esproprio dei beni di appartenenza collettiva da parte degli enti pubblici sotto l’emblema di Beni pubblici è uno dei grandi inganni perpetrati a danno della democrazia costituzionale. Tornando a noi, questa postura impedisce alla parte tecnica-dirigenziale di operare. Per quanto riguarda la parte politica c’è il grande tabù della “libera e autonoma” iniziativa dei singoli e degli associati, relativamente al tema dell’uso, della gestione e del governo dei beni pubblici. Il tema potrebbe essere posto in questi termini: come garantire l’autonomia delle comunità di riferimento di un bene comune ad uso civico e collettivo, evitando che questa autonomia si traduca in un uso esclusivo e privatistico del bene da parte di un gruppo ristretto? Come evitare che il ruolo di garante svolto dall’ente pubblico, per tutelare l’appartenenza collettiva del bene comune e il diritto d’uso civico e collettivo, si tramuti in una forma di inibizione dell’autonoma iniziativa degli/delle abitanti, che invece dovrebbe essere costituzionalmente “favorita”? Una via, pure prevista dal Regolamento dei beni comuni di Padova, è la co-progettazione o, in ogni caso, la possibilità di avviare un processo di partecipazione pubblica volto a istituire/riconoscere, sperimentare e validare il “diritto d’uso civico e collettivo”.

Al limite, in via transitoria, si potrebbe concordare un “patto di collaborazione complesso” – che io chiamerei “Patto di comunità” – che ha come oggetto proprio l’istituzione di una prassi d’uso civico e collettivo o il consolidamento di una prassi già esistente. Sarebbe un’occasione di “conflitto” altamente istruttivo, una forma animatissima di apprendimento istituzionale. Questo permetterebbe di sperimentare una forma di accesso alla città che non è scontata e richiede tanto coraggio da parte di tutti i soggetti coinvolti. Mi scuso se sono stato schematico e troppo sintetico ma spero ci siano altre occasioni di approfondimento.

Sala Pinelli Bene Comune: a che punto siamo?

Da oltre 10 mesi l’assemblea di gestione della sala di via Pinelli ha presentato la richiesta di riconoscimento dell’Uso Civico e collettivo secondo le modalità previste dal Regolamento dei Beni Comuni approvato dall’amministrazione il 24/11/2021.

Il sindaco Giordani e la sua giunta hanno spesso presentato il Regolamento dei Beni Comuni come uno strumento di partecipazione diretta dei cittadini alla gestione dei beni. Uno strumento però che attualmente è fermo al palo. 

Risultano appena 3 i patti stipulati finora aventi ad oggetto o beni immateriali oppure piccoli interventi di verde pubblico cimiteriale: un risultato deludente per un Regolamento sbandierato come “il più avanzato d’Italia”. 

La comunità di riferimento di Sala Pinelli, che gestisce le attività ormai da oltre due anni, avrebbe potuto rappresentare un cambio di rotta. Ricordiamo infatti che la possibile assegnazione della Sala è stato il frutto di una decisione unilaterale del Comune di inserirla tra i beni assegnabili. 

Poteva apparire scontato che, in presenza di una comunità di riferimento attiva, riconoscibile e organizzata in assemblea e in presenza della Sala tra i beni assegnabili, il procedimento amministrativo avrebbe dovuto essere una mera formalità. 

Invece nonostante le attività all’interno della sala abbiano dovuto subire una brusca sospensione in attesa della decisione del Comune ci troviamo a ribadire l’urgenza del riconoscimento della nostra esperienza come esperienza di comunità, aperta alla cittadinanza e che riqualifichi e renda nuovamente fruibile un Bene Comune rimasto chiuso per troppo tempo.

È il momento che il Comune decida se lo strumento di democrazia partecipativa di cui si è dotato è solo un oggetto di propaganda oppure possa servire a valorizzare esperienze culturali e sociali, tenuto conto della cronica mancanza di spazi comuni di cui soffre questa città.

Per questo motivo abbiamo indirizzato al Sindaco questa lettera aperta:

Allattenzione del Sindaco del Comune di Padova

Gentile Sindaco,

dopo mesi di attese ci troviamo costrett* a scrivere questa lettera aperta per provare a fare il punto sul riconoscimento dell’esperienza di Sala Pinelli come Uso Civico da parte del Comune. 

Per completezza occorrerà ricordare brevemente i passaggi che hanno caratterizzato la storia di questa sala.

La sala comunale di via Pinelli è una struttura di proprietà comunale sita in rione Crocifisso, rimasta inutilizzata per molto tempo. Durante il lockdown, sotto l’egida del CSV, la sala è stata riaperta e adoperata per le operazioni di volontariato del Centro Servizi Volontariato. 

Esaurito il picco dell’emergenza pandemica il CSV, con encomiabile sguardo al futuro e capacità di lettura dei processi sociali, ha fatto da tramite affinché molti dei servizi e delle attività che si svolgevano all’interno della sala potessero continuare ad esistere, stipulando una convenzione con il Comune per permettere la continuità delle attività svolte. 

Dall’esperienza in collaborazione con il CSV nasce, in nuce, la prima comunità di riferimento della sala. Le attività per il quartiere e la cittadinanza ottengono il riconoscimento del Centro Servizi Volontariato e, di riflesso, da parte del Comune che concede la sala e, addirittura, ne proroga l’utilizzo oltre la scadenza naturale. 


All’interno della sala si svolgono attività rivolte ai bambini, agli abitanti del quartiere e ai cittadini tutt*.

La comunità di riferimento comincia a dotarsi degli strumenti decisionali necessari al corretto funzionamento della sala e nasce l’assemblea di sala Pinelli, una struttura orizzontale formata dalle realtà che hanno dato vita all’esperienza della sala e da altre realtà che vi collaborano in modo stabile e continuativo. 

Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 103 del 25/10/2021 il Comune di Padova si dota del c.d. Regolamento Beni Comuni, uno strumento di democrazia partecipata che, nelle intenzioni dei promotori, intende radicalmente modificare i rapporti tra i cittadini e i “beni comuni” individuati o da individuare. 

Si tratta di un provvedimento orgogliosamente sbandierato dagli amministratori contenente, come novità assoluta rispetto ai tanti comuni che si sono già dotati di strumenti simili, la possibilità di riconoscimento da parte di questo ente dei c.d. usi civici da parte delle comunità di riferimento. 


Il regolamento raccoglie subito l’interesse dell’assemblea di via Pinelli e viene ritenuto lo strumento più adeguato per la valorizzazione della nostra esperienza che avrebbe tutte le carte in regola per il riconoscimento dell’uso civico e collettivo.

Con enorme sorpresa, senza che da parte della comunità di riferimento della sala vi fossero pressioni o interlocuzioni con l’amministrazione, la sala è stata inserita all’interno della prima mappatura dei beni comuni assegnabili in data 22.02.2021. 


Il tutto senza che il Comune si premurasse di informare la comunità di riferimento. 

Considerando le attività svolte fin lì dalle associazioni, dai singoli e dai gruppi informali costituitisi in assemblea era opinione condivisa che il riconoscimento dell’uso civico e collettivo della sala fosse solo una formalità i cui tempi fossero semplicemente dettati dalle nuove formalità giuridiche da applicare al regolamento appena approvato. 

Non vi era dubbio tra le realtà che proponevano il riconoscimento che, esistendo la comunità di riferimento e la prova delle attività fino a quel momento svolte, la procedura sarebbe stata rapida e immediatamente operativa. 


Forte di questa convinzione tutte le componenti di via Pinelli riunite in assemblea in data 14/04/2022 si premurano di inviare la documentazione necessaria per l’avvio dell’iter. 

Alla base della proposta, approvata all’unanimità dall’assemblea, vi era la possibilità di autogestire in autonomia la sala ma aprendo a qualunque realtà volesse innestarsi nel percorso già intrapreso. Questa considerazione era fondante rispetto alla richiesta, motivata dalle molte attività che in sala si svolgevano o che si programmava di svolgere. 

Invece il procedimento si è immediatamente arenato e il Comune ha interrotto ogni comunicazione con le realtà proponenti. 

A parte due contatti telefonici con gli addetti del Gabinetto del Sindaco ad oggi non si hanno più notizie del procedimento. 

Questa inerzia da parte del Comune ha determinato la sostanziale sospensione delle attività previste e/o programmate all’interno della sala.

Se l’inattività del Comune poteva essere giustificabile, in un primo momento e per cause totalmente imputabili all’ente, dalla mancata formazione del personale e la mancanza di figure di coordinamento del procedimento ci risulta però che mesi addietro le attività di formazione delle figure preposte sia stata effettuata da Labsus e che sia stato preparato il vademecum necessario per determinare i ruoli degli enti coinvolti. 

Questo silenzio, lungo più di 6 mesi, ad oggi ci risulta incomprensibile. Il regolamento dei Beni Comuni non doveva essere il fiore all’occhiello della democrazia partecipativa? La sostanziale continuità amministrativa con la precedente giunta, guidata dallo stesso sindaco Giordani, aveva fatto immaginare un iter meno tortuoso affinché il Regolamento fosse posto pienamente in essere.

Lo stesso Giordani, partecipando all’evento  “L’immaginazione civica – il Regolamento dei Beni Comuni a Padova; non una cosa qualsiasi” organizzata da Coalizione Civica per Padova, usava parole inequivocabili circa l’interesse per l’amministrazione implementare i patti di collaborazione e gli usi civici, garantendo il proprio sostegno.

Ad oggi però, da quanto risulta dai canali ufficiali, sono solo tre le esperienze riconosciute di Beni Comuni nella città di Padova. 

https://www.padovanet.it/informazione/cittadinanza-attiva-i-beni-comuni

Senza voler sminuire l’importanza delle singole esperienze ci chiediamo se davvero la sottoscrizione di tre patti di collaborazione – due riferibili a fioriere e aiuole cimiteriali e una riguardante una generica opera di pulizia e lotta al degrado – in sei mesi rappresentano per l’attuale giunta la piena applicazione di un regolamento che è stato definito “rivoluzionario”. 

Speravamo che l’esperienza di Sala Pinelli contribuisse a dare lustro al Regolamento andando a invertire il paradigma della partecipazione condivisa tra Amministrazione Comunale e Cittadinanza Attiva. 

L’ultima comunicazione ufficiale del Comune invece ci riporta con i piedi per terra, costringendoci ad affermare che nulla è cambiato nel rapporto tra Pubblica Amministrazione e Cittadinanza. 

Nell’ultima mail, in data 10/08/2022 i proponenti venivano informati che “la proposta di collaborazione relativa a Sala Pinelli è stata presa in carico dal Settore competente, Servizi Demografici e Cimiteriali, Decentramento”.

Inoltre la mail specifica che è stata avviata la procedura per un Patto di Collaborazione che prevede il coinvolgimento del Tavolo di Comunità dei Servizi Sociali.


Da un punto di vista meramente amministrativo facciamo notare che il patto di collaborazione non era in nessun modo previsto dalla richiesta di questa assemblea. Né nella richiesta di riconoscimento dell’uso civico né nelle comunicazioni successivamente intercorse tra i proponenti e l’amministrazione. Se questa Amministrazione intende rispettare quanto approvato dal Consiglio Comunale riteniamo debba esprimersi sulle richieste dell’assemblea di via Pinelli – cioè il riconoscimento dell’uso civico – e non formulare proposte nuove che sono state esplicitamente escluse dalla comunità di riferimento per motivi organizzativi. 

Nella mail in oggetto inoltre si fa riferimento al “previsto coinvolgimento del  Tavolo di Comunità dei Servizi Sociali”, soggetto che formalmente non fa parte dell’assemblea. Nel premettere che le realtà di Sala Pinelli hanno, nel corso del tempo, collaborato attivamente con il suddetto tavolo per la creazione di eventi specifici appare necessario ricordare che la natura della nostra assemblea è aperta e plurale.

Nulla osta, nel caso il Tavolo di Comunità dei Servizi Sociali esprimesse tale desiderio, all’integrazione dello stesso all’interno della nostra assemblea. Altra cosa invece ci appare il voler snaturare la natura della richiesta – ma sopratutto dell strumento dell’uso civico – alle necessità dell’amministrazione che nulla hanno a che vedere con il Regolamento. 

Con la presente mail intendiamo dunque ribadire le nostre richieste, così come formulate nella proposta inoltrata secondo i criteri individuati da questa amministrazione e stimolare una reazione da parte della macchina amministrativa, evidentemente inceppatasi. 

Riteniamo inoltre che si debba agire con celerità poiché i ritardi amministrativi hanno ripercussioni importanti nelle attività della sala – lo ripetiamo, sostanzialmente congelate – e nella tenuta della comunità di riferimento che, privata del luogo fisico naturale di azione, rischia di veder crollare l’interesse per lo svolgimento delle attività e l’entusiasmo verso l’esperienza collettiva della gestione di un Bene Comune. 

Che non sarebbe una buona notizia per la città e per il quartiere. E sicuramente non è quell’inversione di tendenza che il Regolamento Beni Comuni avrebbe dovuto apportare nel rapporto tra cittadini e istituzioni.

Assemblea di riferimento della Sala Pinelli